Finalmente Gianni è diventato nonno stamattina…! Con qualche giorno d’anticipo, ma mamma e bimba stanno bene.
E’ apparsa nella nostra chat la notizia che tutti noi aspettavamo perché quando si fa un certo tipo di lavoro si è come fratelli, guai se non fosse cosi, e quindi ci siamo sentiti un po’ tutti come zii in quel magnifico frangente e visto che nel turno di questa notte ci sarebbe stato anche il neo-nonno decidemmo di organizzare una piccola festa, tanto non sarebbe successo niente quella notte, era la frase che tutti noi nel nostro cuore ripetevamo lungo il tragitto verso il nostro “lavoro” e prima di indossare le nostre divise.
“Mio suocero ha fatto su il maiale la settimana scorsa e mi ha portato la pancetta fresca“.
“Mia zia mi ha portato le uova fresche delle sue galline ruspanti, vede un po’ giù i miei figli, solo che me ne ha portate un cesto pieno…!”.
“Io preparo i bigoli, oggi pomeriggio metto in funzione l’impastatrice che è da tanto che non uso…”
“Cosi una bella carbonara stasera per festeggiare Gianni non ce la toglie nessuno.”
“Per il dolce faccio fare a mia moglie il pasticciotto…!”.
Sapevamo che Gianni era un tipo di compagnia e sicuramente quella notte ci avrebbe sorpreso con la sua notizia, ma dalle nostre fonti non ufficiali, a sua insaputa la notizia era già in nostro possesso. Era in prossimità della sospirata pensione e qualche giorno fa mi confidò che non vedeva l’ora di veder nascere quella nipotina e non stava nella pelle per quell’unica figlia, che ormai quarantunenne e dopo moltissimi anni di matrimonio, finalmente aveva deciso di renderlo nonno. Il suo sogno si stava realizzando. Nel suo lavoro era incredibile, dava sempre il massimo e a volte era lui, il più anziano di tutti, a incoraggiare gli altri quando la situazione si faceva davvero pesante.
“Mi immagino già con la carrozzina nel parco vicino a casa…”.
Quando vide lo striscione con “auguri nonno…!” scendendo dalla macchina, fu il momento più emozionante e le felicitazioni abbondanti fecero il resto.
La carbonara era pronta.
Con le nostre divise tutti seduti a tavola ci accingemmo ad assaporare quel piatto prelibato per festeggiare con molta modestia quel bel avvenimento. Al terzo boccone arriva la “maledetta” telefonata. Nel giro di pochissimi minuti eravamo in strada diretti sul luogo dell’incidente. Le notizie che arrivavano frammentarie parlavano di un frontale autovettura contro camion. Poco dopo che nell’utilitaria c’erano marito e moglie. A queste parole ognuno con la propria esperienza cercava di immaginare la scena che da li a poco si sarebbe presentata.
La polizia che era arrivata qualche minuto prima di noi stava già mettendo in sicurezza la strada. Ognuno sapeva già cosa bisognava fare e come una catena di lavoro, fin troppo collaudata, ci mettemmo all’opera. Purtroppo in un incidente del genere sono ben poche le possibilità di sopravvivenza, ma questo pensiero non doveva distoglierci dal nostro ruolo. La macchina era irriconoscibile e le persone incarcerate all’interno non davano alcun cenno di vita, ma noi dovevamo continuare. L’autoambulanza arrivò poco dopo a sirene spiegate ma non ci fu niente da fare solo che constatare quello che nessuno avrebbe voluto. Tre ore per poter rimettere tutto in ordine e riconsentire alla viabilità di riprendere normalmente. Ho pensato a quanti saranno passati di lì subito dopo il nostro intervento e a quanti avranno magari imprecato per il ritardo occorso ignari che due vite poco ore prima hanno terminato i loro sogni, le loro aspettative e chissà quali progetti.
Gianni fu come sempre encomiabile, anche se sul suo volto e su quello di tutti c’era impressa tutta la fatica e la tristezza di non avercela fatta. Il silenzio, come sempre in questi casi, al ritorno in centrale è impressionante e ognuno a suo modo cerca di elaborare l’accaduto, chi fumando, chi ascoltando musica, chi pensando alla propria nipotina o in altri personalissimi modi.
Il silenzio fu rotto dall’ultima comunicazione arrivata dal suem 118: “Ragazzi, la donna era incinta, stavano festeggiando l’inizio della loro prima gravidanza”.
Guardammo tutti Gianni che divenne pallido all’improvviso e non proferì più nessuna parola. Immaginavamo tutti il suo unico pensiero perché tutti a casa abbiamo degli affetti e difronte a queste circostanze ci si immedesima e dentro all’anima ognuno esplora un dolore che ogni volta non cancella il precedente ma lo somma. Nessuno ebbe il coraggio di riscaldare la carbonara. Non c’era spazio neppure per il dolore perché arrivò un’ennesima telefonata. Gianni era già pronto, ma ognuno di noi lo esortò a restare in centrale e lui stavolta senza insistere più di tanto accettò. Ritornammo alle luci dell’alba mentre i ragazzi del nuovo turno era già pronti per il cambio e Gianni era già partito.
Sono sicuro che prima di andare a casa era passato dalla maternità per sbirciare dal vetro con gli occhi lucidi la sua nipotina.
Andrea Conti