Non è trascorsa una Legislatura nel nostro Paese senza che i parlamentari abbiano trattato, con più o meno partecipazione, il tema della sicurezza stradale attraverso leggi o disegni di legge volti ad indurre i cittadini ad un migliore comportamento sulla strada per contrastare l’ancora troppo elevato tributo di sangue che richiede la nostra mobilità nazionale sempre più distratta da nuovi, e meno nuovi, vizi di guida.

Il fatto di contare sulla legge e nell’influenza che essa esercita sulla coscienza delle persone è cosa tanto apprezzabile quanto utopica se la legge non trova un suo spazio di concreta compartecipazione dei cittadini e perciò da semplice lettura non si lega al sentire comune. In altre parole la legge si fa operante ed attiva e sortisce i fini per i quali è stata promulgata solo e quando la coscienza la accetta e la fa sua.

Forse uno degli esempi più recenti riguarda l’introduzione della legge sull’omicidio stradale, peraltro recentemente modificata, che, sebbene infligga pene più pesanti ed eque nei confronti dell’omicida, nulla, o quasi, ha inciso sulla coscienza delle persone il cui comportamento non ha subito significativi cambiamenti. Certamente ciò è in buona parte da attribuire al fatto che la quasi totalità di noi vive nella convinzione che determinati fatti riguardino sempre e solo gli altri, ossia i criminali quelli veri, quelli incappucciati con la pistola in mano, quelli che sparano per uccidere. Partendo da questa assoluzione individuale della coscienza, la legge sull’omicidio stradale ha trovato una sua operatività nel solo campo giudiziario, quando ormai l’incidente grave si è verificato e a nulla, o quasi, hanno potuto le norme per prevenire i gravissimi fatti di violenza stradale.

Il problema dunque è più serio di quanto non appaia e la sua soluzione può aversi attraverso una azione educativa che, per essere veramente efficace e dare i risultati che da essa ci aspettiamo, deve trovare la sua attuazione in un mondo scolastico – dirigenti, insegnanti e genitori – consapevole che la coscienza dei rischi connessi alla mobilità costituisce la base su cui concentrare maggiori energie.

Più di qualcuno pensa ancora che l’educazione stradale possa appesantire ancor di più il già pesante fardello scolastico e questo, seppur vero, non può disgiungersi dal fatto che la scuola, se vuole obbedire alle sue finalità ed essere formativa, deve poter concentrare la sua attenzione anche su discipline che sappiano costruire la persona e fare della sua mente uno strumento indipendente e perciò capace di un giudizio proprio permettendogli così di operare delle scelte coscienti anche in tema di stili di guida che, a ben vedere, sono strettamente correlati ad altri temi di interesse sociale quali l’abuso di alcol, l’utilizzo di sostanze e tutto ciò che si svolge lungo la strada: dai reati ambientali ai vari traffici illeciti ai danni di persone, cose ed animali. La strada è civiltà, è lavoro e perciò benessere ma la qualità della mobilità è strettamente legata ad una efficiente gestione dell’infrastruttura e agli stili di guida di chi ne fruisce, un esempio su tutti può essere lo scarso utilizzo in autostrada della corsia libera a destra che, soprattutto in caso di traffico intenso, incrementa gli incolonnamenti.

Con l’aiuto di uno psicologo e, perché no, di un sociologo sarebbe interessante approfondire anche gli aspetti umanistici alla base degli stili di guida e una volta acquisite e condivise queste conoscenze, accelerare l’autodeterminazione dei futuri conducenti a condotte di guida maggiormente rispettose della propria ed altrui incolumità.

Utopia? Forse si, ma se non iniziamo ad investire in maniera strutturale nell’educazione stradale, iniziando dalle scuole dell’infanzia, potremo solamente sperare nell’applicazione afflittiva della legge scordandoci ogni disciplina pedagogica. Invero Verona Strada Sicura è ancora intrisa di quel pizzico di utopia mitigata dall’esperienza che la determina a credere che sia terminato il tempo dell’improvvisazione, della declinazione di progetti pensati per rispondere ad altre logiche oppure non supportati da un sufficiente numero di formatori adeguatamente preparati.

A proposito, riportiamo queste brevi riflessioni nella piena consapevolezza che i nostri progetti li abbiamo ideati e realizzati grazie ad uomini e donne con o senza uniforme, ad atleti disabili e familiari di ragazzi strappati alla vita quando si apprestavano a percorrerla con slancio e curiosità ma che non vogliamo mai dimenticare, prestando loro la nostra voce e, perché no, anche la nostra opera.

Utopia? Forse si.

Andrea Scamperle

Presidente VSS

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